...Benvenuti cari lettori, conosciuti e sconosciuti, di passaggio o appassionati, a cui auguro qui e ora, di trovare un piccolo granello da aggiungere al proprio mappamondo.

domenica 8 agosto 2010

I meccanismi di difesa: l'intellettualizzazione e la razionalizzazione


L'intellettualizzazione 
L’intellettuale dice:
dovremmo parlare più di filosofia, di storia, di concatenazioni di eventi a cui non riesco a rispondere, in questa società che tribola e traballa, e dove, dopo anni di lotta l’uomo non ha imparato ancora nulla..quindi, dicevo, parliamone…io sto bene, ma bisogna fare qualcosa per gli altri.”
Probabilmente fuor di metafora vorrebbe dire: 
Io non mi sento per niente bene, provo un profondo disagio nel contesto in cui vivo, e non so se questo è riconducibile a me o agli altri. Cosa ho fatto in questi anni? Mi sento angosciato e profondamente confuso, non so dove andare.”
Nel meccanismo dell’intellettualizzazione c’è un’operazione inconscia di difesa, di fronte al dolore e alla sofferenza di “qualcosa che provo e che temo, e non posso dire” se non in altri termini: filosofici, logorroici, verbali, arzigogolati o logici. 
Ma tutti con una cosa in comune: sono slegati dall’emozione.
Cioè, intellettualizzo tutto e tutti, per capire (ancorato al “perché” delle cose, e non al loro “essere”) se alla fine di questo fiume di parole c’è una chiave risolutiva per il mio Sé, che si è perso nel labirinto della mente, chiamata in causa incessantemente per rispondere meccanicamente all’imperativo: 
“Non devi provare assolutamente nulla”.
La domanda che posso pormi allora è la seguente: “Se smettessi di intellettualizzare che cosa succederebbe? Cadrei nella mia stupidità di essere umano che sente e che prova emozioni”.
Ben venga la stupidità allora per l’intellettuale, che ha sempre il timore di sbagliare per il giudizio mordace dell’esterno, agli occhi del quale dovrà apparire perfetto e imperturbabile. Con un appropriato processo di “smantellamento” di sovrastrutture rigide e unilaterali, ogni suo errore (percepito in questi termini dal soggetto), e ogni sua espressione emotiva, saranno una vittoria per il suo essere, che imparerà piano piano a sentirsi in libertà, senza così tanta coercizione da parte di un Super-Io estremamente preponderante e critico .
Vorrei concludere la descrizione di questo meccanismo di difesa, con una frase che ho letto sul testo di Leo Buscaglia “La coppia amorosa, la sfida delle relazioni umane”, che a mio avviso definisce chiaramente l’inversione che l’intelletto mette in atto di fronte alle emozioni, e che mostra altresì come questo disturbo sia diffusissimo sia a livello individuale, che sociale, nei suoi messaggi meta-verbali che funzionano da rafforzo negativo:
“…Viviamo in una società nella quale amore e impegno sono considerati retorici, assurdi e fuori moda. Gli scettici, armati di ironia e di battute taglienti, sono sempre pronti a gettare il ridicolo su chi continua a parlare di cuori infranti, di solitudine crudele e del mistico potere dell’amore. Se ami, ti considerano ingenuo; se sei felice, frivolo oppure facilone; se sei altruista e generoso, vieni guardato con sospetto. Se sei capace di perdonare, ti giudicano debole, e se hai fiducia uno sciocco. E se provi a essere tutte queste cose insieme, allora sono convinti che tu stia bluffando.”
Ecco perché poi è più facile credere che l’intelletto sia “superiore” al cuore, quando invece spesso è proprio l’esatto contrario… “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce” (Bateson).

La Razionalizzazione
Premettendo che sul punto di scrivere, stavo annotando la parola come “ritualizzazione” invece di “razionalizzazione”, questo lapsus mi fa cogliere lo spunto, che questo meccanismo di difesa, anch’esso a carico del pensiero e dell’intelletto, in qualche modo sia legato alla modalità nevrotica ossessivo - compulsiva: “razionalizzare” diventa un rito, laddove l’Io risponde ad un comando ricevuto nell’infanzia, anche in questo caso collegato al “non sentire” e al divieto di espressione del proprio Sé, in tutte le sue sfumature (“non puoi sentire, non farti sentire, non parlare..”).
Così la razionalizzazione diviene lo strumento più “vicino alla realtà”, con il quale si può dire ciò che si prova senza esserne veramente i soggetti. E’ il pensiero che riferisce l’azione o l’evento, completamente svuotato e deprivato del suo contenuto .
Esternamente si può riconoscere il meccanismo quando divento lo “psicologo, autodidatta” dei miei stati d’animo, assumendo il ruolo di “salvatore” dell’altro e di me stesso, reinventando teorie e massimi sistemi, assolutamente plausibili e esaustivi per la platea e il senso comune, ma che in profondità esprimono il dolore dell’Io che dice: “Mi sento male, come imbottigliato nei miei pensieri; non posso esprimermi così come sono perché è sconveniente, privo d’importanza e senza una causa razionale. Nessuno mi capirebbe. L’unica salvezza sono le parole con cui dimostrerò che ho assolutamente ragione, perché Io ho ragione, come potreste negarlo? Devo analizzare tutto affinché non mi sfugga qualche dettaglio che provi il contrario."
(Si noti che si risponde coerentemente al messaggio imposto: “il tuo dolore è una fantasia ed è privo d’importanza”, con una forma di rimuginazione e dubbio su ciò in cui si ha fede cieca: la ragione. Cioè l’Io è vittima di un paradosso!).”In questo spostamento c’è un allontanamento dal cuore, manifestato spesso da un senso di disagio e di pudore nell’esprimere ciò che si prova veramente.
Far cadere le maschere del “filosofo” (intellettualizzazione) e dello “psicologo per caso ma espertissimo” (razionalizzazione), entrambe prive di affettività e emozioni in quanto scindono psiche e soma, è un processo arduo, perché spesso questi aspetti si cronicizzano a tal punto da diventare parte integrante del carattere, che senza quella caratteristica (che in realtà è una difesa), si percepisce disfunzionale. Per queste due figure, ricontattare le emozioni nella loro semplicità, passa per l’ammissione di un’incapacità (percepita tale o come colpa): quella di sentirsi e di amarsi. 
E come potrebbero gli intellettuali e i razionali ammettere di essere incapaci o colpevoli di qualcosa, avendo fondato le loro strutture sulla facoltà intellettiva e sulla morale?
Questo è un traguardo possibile se all'interno di un percorso terapeutico, ci verrà trasmesso empaticamente che per essere amati non è necessario sapere, né tanto meno dare informazioni o risolvere problemi. E che in realtà l’essere amati non è una conquista di merito, ma un principio d’amore umano e divino per il quale non bisogna fare assolutamente niente, fuorché Esserci.

4 commenti:

  1. Sono parole che mi hanno colpito nel segno.

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  2. Grazie. Le sue parole mi hanno restituito un po' di serenità in una notte di pensieri tormentati.

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  3. Tutto vero, ma di quell'amore di cui parla alla fine non ne vedo

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  4. complimenti, chiaro, semplice e immediato

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